Big Aura è l’installazione dell’artista Isabella Ducrot che occupa le pareti della sala lungo la quale si svolge il rito della presentazione della collezione Dior di haute couture. Ventitré abiti smisurati, alti circa cinque metri, applicati su una griglia disegnata da righe nere irregolari che rimandano alla trama e all’ordito. Sono memoria degli abiti dei sultani ottomani visti da Ducrot a Istanbul. Astrazione del vestire, simbolo di un potere che trascende i corpi. Big Aura è per Maria Grazia Chiuri quell’aura che effonde ogni singolo manufatto dell’haute couture. Perché la couture rimane il territorio di rapimento contemplativo in cui la riproduzione dell’originale non è mai uguale, obbligata com’è ad adeguarsi in ogni sua riproduzione ai corpi di chi potrà possederla. L’aura nella precisazione di Walter Benjamin, a cui fanno riferimento in maniera diversa Chiuri e Ducrot, riflette l’unicità e l’autenticità dell’opera d’arte. E la colloca nella memoria collettiva. Chiuri decide di riattivare il concetto di aura attraverso l’haute couture che è il mito Dior: Un brand che rappresenta il carisma della moda. È l’abito La Cigale della collezione haute couture autunno-inverno 1952 – nella costruzione scultorea e nel tessuto moiré, che nella sua consistenza rimanda al sacro – a diventare punto di partenza di una teoria di modelli che ricontestualizzano la couture nella sacralità dell’atelier. Fragile confine tra l’arte e la vita. Il moiré è “unfurls over winter like a wave”, ed è usato in una eclatante palette di colori che ne esalta “through its substance and sculptural quality” la cangianza materica: oro, bianco, grigio, vinaccia, verde. Declina abiti che ripercorrono le linee geometriche de La Cigale che impongono una posa: coat dai colli importanti, ma anche gonne ampie che si permettono faldoni esagerati, sovrapposizioni, pantaloni, giacche. La modellistica prende elementi di abiti Dior d’archivio per ricostruire silhouette contemporanee che moltiplicano l’esprit degli originali. Succede anche con materiali come il cotone e seta nel colore del trench, che paiono modellati dall’aria per il rapporto che intrattengono tra il corpo e l’intorno. Alcuni abiti fatti di velluto nero esaltano l’allure di chi li indossa, muovendosi fluidi nell’incedere. Mentre una sontuosa cappa di piume si appoggia su un abito organza double ricamato. I ricami sono come frammenti consumati di poesie ritrovate in cui l’immaginazione si perde. Ogni tanto esplodono nella varietà colorata della natura, nel Millefiori che occupa tutto lo spazio di un abito moiré giallo. Oppure sono ciocche dai lunghi fili che ondeggiano nel ritmo dei passi. In questa collezione, Maria Grazia Chiuri – attraverso la presenza materica, cromatica, costruttiva degli elementi che scolpiscono le silhouette – ci ricorda la dimensione auratica della couture: esperienza potente, non solo contemplativa ma anche performativa. Espressione dello spirito trasformativo dell’immaginazione.
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